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Data aggiornamento: 2011/03/13
Codice sito fa1625 Codice archivio 12903
Argomento Teologia antica
Domanda concisa
Nella questione dell’agonia e dell’angoscia, sono affidabili gli hadìth del Profeta (S) e della Gente della Casa (A) o l’opinione dei sapienti sciiti?
Domanda
Nella questione dell’agonia e dell’angoscia, sono affidabili gli hadìth del Profeta (S) edella Gente della Casa (A) o l’opinione dei sapienti sciiti?
Iddio il Sublime dice: “… Ebbene, da’ la buona novella a coloro che perseverano, coloro che quando li coglie una disgrazia dicono: "Apparteniamo ad Allah e a Lui ritorniamo". Quelli saranno benedetti dal loro Signore e saranno ben guidati”.
Inoltre dice: “… Coloro che sono pazienti nelle avversità e nelle ristrettezze, e nella guerra, …”
Nel Nahj al-Balaghah c’è scritto:“Alì (A) dopo la morte del Profeta (S) riferendosi a lui disse: ‘[O Profeta,] Se non avessi vietato l’irrequietezza e l’impazienza, e non avessi ordinato di pazientare, piangerei così tanto da finire le lacrime dei miei occhi”.
Sempre nel Nahj al-Balaghah l’imam Alì (A) disse: “Chiunque batta una mano sulla gamba a causa di una calamità e si lamenti, le sue azioni diventeranno nulle”.
L’imam Husayn (A), secondo la narrazione dell’autore del libro “Muntaha al-Amal”, disse a sua sorella Zaynab: “Sorella, ti scongiuro in nome di Dio di non strapparti il colletto quando sarò ucciso, di non ferirti il viso con le unghie e di non gridare per il mio martirio”.
Abu Ja'farQumi narra che il Principe dei Credenti (A) disse ai suoi compagni: “Non vestite di nero, poiché l’abito nero è il vestito del Faraone”.
Nell’esegesi Al-Safi è riportato che il Profeta (S) strinse il patto con le donne a condizione che non si sarebbero vestite di nero in caso di disgrazia, non si sarebbero strappate i colletti, né lamentate dalla disperazione.
Nel Furu' al-Kafisi narra che il Profeta (A) raccomandò a Fatima (A): “Quando morirò, non ferirti il viso, non rovinarti i capelli e non gridare dalla disperazione, econ le donne non organizzare neppuredelle cerimonie di lamento per la mia morte”.
Lo shaykh sciita Muhammad ibnHusaynibnBabuyehQumi, noto come “Saduq”, disse: «Tra i detti del Profeta (S) che nessuno aveva pronunciato prima di lui vi è questo: “La cerimonia di lamento è un atto dell’Epoca dell’Ignoranza”».
Inoltre i sapienti sciiti Majlesi, Nuri e Borujerdi hanno narrato un hadìth del Profeta di Dio (S) che disse: “Due voci che Iddio non ama sono state maledette: l’agonia e il gridare di fronte alle disgrazie, e le canzoni; ossia le cerimonie di lamento e la musica”.
Dopo tutti questi hadìth ci si chiede perché gli sciiti, nonostante la realtà presente in questi hadìth, siano di parere contrario. E noi, chi dobbiamo seguire? Dobbiamo credere alla parola del Profeta (S) e della Gente della Casa (A) o ai sapienti sciiti del presente?
Risposta concisa

Riguardo a questo tema bisogna prestare attenzione ad alcuni punti:

1.     Non tutti gli hadìth sono attendibili.

2.     Non bisogna dimenticare i fattori spazio-temporali nel mutamento delle regole.

3.     Tra i cinque tipi di regole solamente quelle obbligatorie o vietate sono più importanti.

4.     Bisogna lavorare meglio e maggiormente sulle fonti islamiche,vale a direin merito alla domanda, vi sono questioni discutibili come il pianto; nonostante i wahabiti vietino di piangere per i defunti, dal punto di vista razionale, è un’azione gradevole e accetta. Negli hadìth sciiti e sunnititroviamo molte testimonianze concernentiil pianto per i defunti e i martiri come Hamza,ovvero il caro zio del Profeta (S), la sua adorata madre e altri. Invero secondo questi hadìth l’Inviato di Dio (S), la Gente della Casa (A) e i suoi compagni agivano in questo modo.

5.     Dalle parole dei giurisperiti e sapienti religiosi possiamo capire che non tutte le azioni compiute da chi perde un caro sono accette; al contrario, alcune di esse oltre a costituire peccato, prevedono anche una penitenza (kaffarah); non si devono quindiattribuire all’Islam o ai devoti della religione le azioni inconsapevoli e irreligiose della gente.

Risposta dettagliata

Per ottenere la risposta in principio bisogna analizzare alcune premesse:

1.     Ogni hadìth, in qualsiasi libro, è attendibile?

Al riguardo bisogna dire che l’attendibilità di un hadìth dipende dalla valutazione della sua fonte e significato. Questo compito spetta agli esperti in questioni islamiche chiamati faqih o mujtahid.

È opportuno ricordare che pur ammettendo la correttezza di un hadìth, è possibile che questo sia in contrasto conunaltro e vi sia quindi il bisogno di un ulteriore esperto che raggiunga un responso finale.

In realtà l’utilizzo del Corano e degli hadìth è simile a quello del computer ai giorni nostri, cioè a volte è sufficiente premere un tasto per compiere un’azione e a volte bisogna premere due o più tasti; per esempio per avviare un programma basta il tasto Enter, mentre a volte per compiere un’azione bisogna premere il tasto Ctrl ed Enter.

Anche tra i versetti e gli hadìth, a volte il concetto di un versetto o un hadìth è ben comprensibile da solo,mentre a volte bisogna prendere in considerazione due o più versetti e hadìth. Per esempio in un punto del Nahj al-Balaghah c’è scritto che l’Imam Alì (A), mentre praticava il ghuslalla salma del Profeta (A),disse (riferendosi al Profeta): “Se non avessi ordinato la pazienza e negato l’impazienza avrei pianto così tanto da finire le lacrime, questo dolore sarebbe rimasto perpetuamente nella mia anima e anche la mia angoscia sarebbe diventata eterna; tutto questo è niente rispetto alla tua disgrazia”.[1] In un’altra parte però c’è scritto che quando seppellì il Profeta (S) disse: “Certamente la pazienza è bene,tranne nella tristezza per la tua perdita, e l’impazienza è sconsigliata, tranne nell’angoscia della tua morte; la tua disgrazia è molto grave mentre quelle precedenti e future sono irrilevanti”.[2]

In meritoagli indumenti neri sono stati trasmessi alcuni hadìth di cui uno dice: “Il Principe dei Credenti disse:‘Non vestite di nero, poiché esso è il vestito del Faraone’”.[3]

In un altro hadìth invece l’Imam Sadiq (A) afferma: “L’inviato di Dio (S) riteneva il nero sconsigliato, salvo in tre casi: il turbante, le scarpe e il mantello”.[4]

2.     Il ruolo dei fattori spazio-temporaliedel cambiamento delle condizioni nelle regole religiose è importante. Questa tesi è stata avanzata da grandi giurisperiti come l’imam Khomeini (ra) e risale anche all’epoca dell’Inviato di Dio (S). Un esempio pratico è la visita ai defunti, in merito alla quale i grandi sapienti sunniti narrano che Muhammad (S) disse: “Io prima d’ora vi negavo di visitare le tombe dei defunti ma adesso potete andare giacché questo tipo di visita aumentalozuhd[5] in questo mondo ed è un ammonimento per l’Aldilà”.[6]

Inoltre ricordiamo che i motivi della visita ai defunti, che si possono ricavare dal Libro e dalla Sunna, sono molteplici, ma in questo articolo non è il caso di esporli.

Riguardo all’argomento in questione alcuni esperti affermano: “Indossare indumenti neri, nonostante secondo la regola principale sia sconsigliato, adesso che è diventato un simbolo di rispetto verso i devoti della religione (come l’Imam Husayn -A-), viene applicata una regola secondaria, tale che opporsi ad essa può essere un problema.

3.     Sappiamo che tra i cinque tipi di regole religiose, due rivestono un’importanza speciale. Il primo sono gli atti obbligatori che devono essere compiuti e il secondo quelli vietati da cui bisogna astenersi;tuttavia il resto delle azioni non sono di carattere obbligatorio. Per quanto riguarda l’argomento della domanda esso ha un responsodifferente a seconda dei casi che spiegheremo in seguito.

In merito alla domanda posta, ovvero se credere nelle parole del Profeta (S) e della sua Famiglia (A) oppure nelle opinioni dei giurisperiti e dei sapienti moderni, vi sono alcune questioni da discutere:

a.     Com’è visto il pianto dal punto di vista razionale e scientifico?

L’essere umano nella propria vita, in base a varie condizioni, prova stati d’animo differenti che sono naturali e innati:a volte ride quando è contento, a volte è triste, angosciato e piange.

Il pianto in realtà è un bisogno umano che se viene manifestato propriamente è una virtù ed è costruttivo.

Il pianto aiuta l’uomo nelle condizioni difficili e lo libera dai rancori e dalla malinconia.Il pianto a volte purifica il cuore dalle impurità, lo prepara al pentimento e allontana la crudeltà donandogli serenità.Piangere per un oppresso è un tipo di legame affettivo con lui e di avversità contro l’oppressore.Il pianto presenta un profitto corporeo, spirituale e anche politico; quest’ultimo dev’essere discusso in un luogo idoneo.Riguardo ai defunti, l’essere umano quando perde un caro, per natura si rattrista e piange involontariamente. Questa questione nella vita umana è chiara e inconfutabile. L’Islam in qualità di religione innata non contrasta questo fatto.

b.    Come viene considerato il pianto dalla religione?

1.     Il pianto dal punto di vista coranico -Nei versetti della sura Yusuf leggiamo che Giacobbe pianse e si addolorò talmente tanto da diventare cieco.[7]

Certamente questoatteggiamento non ostacola la pazienza,poiché il cuore dei devoti di Dio è il centro dei sentimenti e non è strano che a causa della lontananza del figlio,Giacobbe abbia versato un fiume di lacrime. Questo è un atto affettivo. L’importante è non perdere il proprio controllo, cioè non dire parole o compiere azioni contrarie al compiacimento divino.

2.     La condotta del Profeta dell’Islam (S), della sua Famiglia (A) e dei musulmani in merito al pianto per i defunti e i martiri, è una discussione complessa. Da un’analisi storica, al contrario di ciò che dicono i wahabiti, ovvero che il pianto per i defunti è vietato, possiamo dedurre che il caro Profeta dell’Islam (S) e i suoi compagni agivano secondo questo bisogno naturale. Di seguito riportiamo alcune testimonianze storiche:

Il Profeta Muhammad (S) versò lacrime per suo figlio Ibrahime quando alcuni si lamentarono, egli rispose: “Gli occhi piangono e il cuore si rattrista, però non dico niente che causi l’ira di Dio”.[8]

In altra fonte leggiamo che disse: “Questo pianto non è impazienza bensìuna grazia”.

Inoltre bisogna ricordare che nel petto dell’essere umano risiede un cuore e non una pietra, è quindi del tutto naturale che reagisca di fronte alle questioni affettive; la più semplice delle sue reazioni sono le lacrime. Questo non è un difetto ma un bene. Un difetto è quando l’essere umano dice qualcosa che causa l’ira di Dio.[9]

Un’altra testimonianza del Profeta (S) riguarda il suo caro zio Hamza, si racconta infatti: “Quando nella battaglia di UhudHamza fu martirizzato, sua sorella Safiyyah cercava il Profeta (S). Una volta trovato quel nobile, egli si pose tra di lei e gli Ansar invitandoli a lasciarla in pace. Safiyyah si sedette presso il Profeta (S) o il corpo di Hamza e pianse. Ogni qualvolta piangeva ad alta voce anche il pianto del Profeta aumentava e ogni qualvolta piangeva pacatamente il pianto del Profeta diminuiva. Anche Fatima (A), la figlia del Profeta (S), piangeva; il Profeta piangeva insieme a lei e disse: “Nessuno proverà tante disgrazie quanto te”.[10]

Alcuni racconti riportano che dopo la guerra di Uhud,mentre il Profeta di Dio (S) sentiva che dalle case degli Ansar si elevavano pianti per i martiri disse: “Però nessuno piange per Hamza?!”.Sa'dibnMa'az che udì queste parole corse verso le donne della tribùdei “Bani'Abd al-Ashhal” e le invitò a piangere per Hamza. Da quel momento nessuna donna degli Ansar non pianse per un defunto se non dopo aver pianto per Hamza.[11]

Da questavicenda si può desumere cheil Profeta(S) non solo pianse per Hamza, ma apparentemente invitò anche le donne degli Ansar a piangere per lui.

Quando il Profeta (S) andò a visitare la tomba di sua madre, pianse molto e anche coloro che gli erano accanto piansero per via del suo pianto.[12]

Riguardo alla figlia di quel nobilenarrano che:

La nobile Zahra (A) dopo la morte dell’Inviato di Dio (S) piangeva e diceva: “O padre, tu ti sei avvicinato a Dioaccettandoil suo invito. Caro padre adesso il Paradiso è la tua dimora”.[13]

In merito al pianto del Profeta (S), della Gente della Casa (A) e dei suoi compagni per i defunti e i martiri vi sono anche altre testimonianze che evitiamo di riportare per non dilungarci troppo.

c.     L’opinione dei giurisperiti e degli esperti in questioni religiose è che, per il lutto dei propri cari o a causa di disgrazie, difficoltà e di avvenimenti amari di ogni giorno, ogni azione è lecita? In merito riportiamo l’opinione di alcuni grandi giurisperiti riguardo al lutto:

È permesso piangere per un defunto e a volte, in caso di forte afflizione, è meritorio. Non si devono però pronunciare parole che causino l’ira di Dio. I lamenti funebri, sotto forma di poesia o non, se il contenuto non è negativo come lebugie o altre cose vietate, sono concessi, e per precauzione obbligatoria bisogna anche evitare di dire espressioni quali “O sventura! Che guaio!”; inoltre per precauzione obbligatoria non bisogna picchiarsi in faccia, ferirsi la pelle, tagliarsi e strapparsi i capelli, e gridare al di fuori del normale; addirittura per alcuni di questi gesti diventa obbligatoria una penitenza (kaffarah)”.[14]

Pertantol’opinione dei grandi giurisperiti sciiti equivale a quella tramandata dagli hadìth e dalla condotta dei devoti di Dio.

Non va dimenticato che i giurisperiti e le persone di grande notorietà religiosa in base alle guide delle fonti islamiche considerano il termine “pazienza” uno dei termini di grande valore; infatti hanno esortato a pazientare in ogni tipo di difficoltà, disgrazia e lontananza di un caro, al fine di ottenere un grande merito. Il primo passo fondamentale per un musulmano in caso di disgrazia e difficoltà è pertanto di pazientare, anche se non è vietato piangere o simili.Tuttavia alcuni atti che la gente compie, quali ferirsi la testa e il viso, gridare in modo molesto, strapparsi i capelli e simili, non sono approvati daglihadìth e dai sapienti religiosi. In conseguenza di ciò,colui che ha posto la domanda, deve modificare la propria opinione al riguardo.

d.    Inoltre è importante ricordare che l’uomo è un essere sociale e con vari aspetti che influenzano l’un l’altro. L’Islam ha sfruttato questo importante concetto psicologico in modo positivo per rafforzare e diffondere la religione; infatti il Profeta dell’Islam (S) incitava a piangere per il nobile Hamza e lui stesso piangeva per lui. Per questo stesso motivo gli Imam (A) hanno incitato a piangere e commemorare il lutto per l’Imam Husayn (A), il Signore dei Martiri.[15]



[1]Nahj al-Balaghah, versione Dashti, sermone 235.

[2] Ivi, sentenza 292.

[3]ShaykhSaduq,'Ilal al-Shara'i', vol. 2, pag. 347.

[4]Ibidem.

[5]Zuhdsignifica non affezionarsi alle cose mondane e quindi non implica

ecessariamente una vita povera: chi possiede lo zuhd, se perde un bene prezioso, non si dispera.

[6]SunanibnMajah, vol. 1, pag. 114.

[7] Sacro Corano, 12:84

[8]Usulal-Kafi, vol. 3, pag. 262.

[9]TafsirNemune, vol. 9, pag. 352.

[10]Al-Asma'Miqrizi, pag. 154.

[11]IbnSa'd, Tabaqat, vol. 3, pag. 11; Musnad Ahmad, vol. 2, pag. 129.

[12]Ja'farSobhani, Rahnama-yeHaqiqat, pag. 231.

[13]Ivi, pag. 232.

[14]Imam Khomeini, Tahrir al-Wasilah, vol.1 pag. 93.

[15]Bihar al-Anwar, vol. 44, pag. 292.

Traduzione della domanda in altre lingue